Post tratto da:
Tra regolazione e giurisdizione - In
ricordo di Antonio Preto (RomaTrE-Press)
a cura di Andrea Zoppini
Affido a due rifessioni una possibile
traiettoria della discussione, reminiscenze che mi sembra possano
aiutare a comprendere il senso del regolamento sulle controversie tra
operatori approvato dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni.
La prima è legata a un non più
recente, ma io ritengo sempre attuale saggio, di Owen Fiss intitolato
Against Settlement, apparso ormai più di trent’anni fa nella Yale
Law Journal. Si tratta d’una riflessione che potrebbe sembrare
paradossale e contrastante con l’esperienza quotidiana d’un
ordinamento – qual è il nostro – che segna il record negativo
europeo di durata dei processi civili e che ha posto in essere molti
sforzi per ‘mediare’ e risolvere il giudizio fuori e prima
dell’aula di giustizia.
Scrive Fiss che è un errore profondo
educare gli studenti e poi i legali a conciliare evitando il giudizio
e la sentenza. Certo per le parti del conflitto normalmente rilevano
esclusivamente gli interessi patrimoniali, come tali pienamente
disponibili, e il conflitto costituisce un incidente comunque
generatore di un pregiudizio nella produzione della ricchezza.
Tuttavia, dal conflitto, si genera un ‘valore’ per tutti i
consociati, un’esternalità positiva per l’ordinamento in quanto
tale, costituito dalla sentenza.
La decisione del giudice proprio in
quanto pubblica non risolve solo il conflitto di quelle parti, ma
orienta il comportamento di tutti gli attori dell’ordinamento. È
regola di quel caso concreto, ma allo stesso tempo di tutti i futuri
casi consimili. Ciò perché la decisione del giudice non è
segreta e occulta – come la transazione o l’arbitrato –, ma
motivata e pubblica. Nella motivazione della sentenza, si realizza
l’autolegittimazione del/la giudice nella scelta tra le opzioni
interpretative che gli/le si offrono. Ecco un profilo che deve
possedere il diritto privato della regolazione là dove introduca
meccanismi compositivi e alternativi al giudizio. La composizione
degli interessi non deve disperdere il valore sotteso alla opzione
interpretativa; proprio per questo capace di orientare futuri
comportamenti. Un caso che a me sembra centrato in questa logica è
l’Arbitro Bancario e Finanziario, voluto dalla Banca d’Italia,
che – seppure produce decisioni non vincolanti per le parti, che
possono sempre rivolgersi al giudice – attua un meccanismo di
pubblicità e di massimazione delle proprie decisioni.
La seconda riflessione che intendo
proporre traccia un parallelismo tra il regolamento di cui discutiamo
e una peculiare forma del processo amministrativo che prende il nome
di ottemperanza interpretativa. Nell’ottemperanza interpretativa,
la parte istante non chiede al giudice amministrativo di conformare
ad un precedente giudicato ineseguito la realtà, quanto piuttosto
di dettare la de nitiva interpretazione di una regola destinata a
vincolare le parti.
Diversa è la natura giuridica
dell’ottemperanza interpretativa rispetto all’ottemperanza tout
court. Diversità che ben si apprezza ponendo mente all’estensione
della legittimazione ad agire alla parte soccombente (oltre che a
quella vittoriosa), proprio in quanto si tratta d’uno strumento
processuale che sollecita una sorta di ‘interpretazione autentica’
ad opera del giudice. Una forma della tutela dei diritti che presenta
taluni punti di contatto con la decisione dell’Autorità come
disciplinata dal regolamento in esame, che ad un tempo realizza una
modalità peculiare di regolazione e insieme attua la regola nei
rapporti fra gli operatori.
Queste rapide riflessioni, spero possano
aiutare a comprendere il valore e a distinguere il conflitto come
vicenda espressiva di una patologia nei rapporti, di un contrasto di
interessi legato frequentemente alla conquista di uno stesso mercato,
rispetto alla generazione di una regola che possa aiutare quegli
stessi operatori a scegliere, a prevenire il conflitto, a orientare
in maniera efficiente le proprie risorse.